Vincenzo Culotta e Stefano Ferrara — Io mi lascio cadere. Concerto per pianoforte, corpo e respiro
Quando si ascolta, soprattutto un pianista, lo sguardo non è prioritario. Spesso si chiudono gli occhi e ci si abbandona. Ma se quello sguardo, invece, venisse amplificato? E la danza che si scrive sul volto e nei movimenti del musicista venisse trascritta, tradotta in un altro corpo? Ecco “Io mi lascio cadere”, concerto per pianoforte, corpo e respiro: un duo, composto dal pianista Vincenzo Culotta e dal danzatore Stefano Ferrara. Uno sdoppiamento che intende, col suo doppio in forma di danza (dove corpo e acustica del respiro non sono scindibili), fare da cassa di risonanza all’espressività dell’interprete davanti al suo strumento. Non un mimo, ma se mai una mimesis, in cui quello che conta è l’atto performativo, ciò che accade lì, in quel preciso istante e che non ha solo il suo suono, ma anche un suo corpo, assolutamente irripetibili. Un modo per rendere visibile il corpo della musica e udibile la musica del corpo.
BIO
Vincenzo Culotta
Concertista, insegnante, ricercatore. Alla ricerca di percorsi di comunicazione musicale – sia in ambito concertistico che educativo – nella direzione di una performatività olistica della prassi e dell’ascolto della musica. Proprio sulla questione dell’ascolto come prassi percettiva “incorporata”, nel 2019 ho conseguito un Dottorato presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca con una tesi sperimentale sull’allestimento di laboratori di ascolto musicale intesi come formazione di formatori, nel segno della embodied Knowledge.
Stefano Ferrara
Attore, traduttore, filosofo di formazione, dopo aver studiato danza butō sotto la guida di Atsushi Takenouchi ed Imre Thormann, inizia uno strano percorso di vita che lo porta prima alla psicoanalisi, poi alla sperimentazione e produzione sonora (co-fondando NEROVOCE Studio) e infine alla ricerca (OT / Orbis Tertius, gruppo di ricerca sull’immaginario contemporaneo, CLAC / Clinica dell’adolescenza contemporanea, il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, dove si occupa di “voce amplificata” e didattica speciale). Nel mezzo c’è molto altro, ma un racconto, si sa, non è mai tutta la storia.»