LENTEZZA
Mostra collettiva della classe di Scultura di Gianni Caravaggio
Una residenza, un artista e docente, una classe dell’Accademia di Brera, tredici allievi selezionati.
Nasce così la mostra collettiva Lentezza, atto conclusivo della residenza dell’artista e docente Gianni Caravaggio con la sua classe di Scultura, partita da un ciclo di lezioni e incontri sulla concezione del tempo.
“La mostra si propone di creare una narrazione tra lo sfuggire e il sostare dello sguardo. L’insieme delle due azioni si riunisce nella contemplazione che, al manifestarsi delle opere, apre ad un ascolto. Il mutamento focale plasma la vista; emerge lo scarto tra il vedere superficiale e l’osservare le immagini nella loro pienezza. Traendo ispirazione dal romanzo “La Lentezza” di Milan Kundera – raccontano gli allievi di Caravaggio – la velocità si traduce in disattenzione, sottrazione: lo sfuggire costante genera perdita di memoria, così come Vincent, uno dei protagonisti del romanzo, fugge velocemente dal castello in motocicletta per dimenticare i funesti avvenimenti. D’altra parte, il sostare esclude le possibilità altre. Trovare un equilibrio tra i due moti permette di aprirsi al dialogo con le opere”.
A partire dunque da riflessioni, spunti letterari, ricerca, i tredici allievi selezionati da Caravaggio hanno dato forma alla loro personale visione sulla concezione del tempo che, in alcuni lavori, risente ancora degli effetti e delle conseguenze della pandemia. Ne sono un esempio le opere di Viola Alfonsi e Isabella Angelantoni.
Alfonsi in Renè Robert parte dalla quotidianità: “quasi tutti i giorni – racconta Viola – mi accade di incrociare chi vive per strada, senza fissa dimora. Con il modificarsi della nostra routine quotidiana a causa del covid, queste persone sono sparite dal nostro orizzonte, rimaste solo come notizia scandalistica dei media sulle misure adottate dalle forze dell’ordine per allontanarle dai centri abitati. La lotta alla povertà sembra tradursi nel celare alla vista chi, più di tutti, ci ricorda condizioni miserabili”.
L’opera Senza titolo (riappropriazione di uno spazio per l’inattività II) di Angelantoni pone l’accento sulla relazione tra tempo e spazio e su come muti al modificarsi degli eventi. La contrazione dello spazio, causata dalla forzata stanzialità, unitamente alla dilatazione del tempo ci hanno obbligati alla continua attività per sopravvivere. I tempi immobili subiscono un’accelerazione causando dimenticanza.
Differenti gli approcci degli altri studenti, focalizzati sul tempo come passaggio, mutamento, viaggio, processo.
55 layers è la seconda opera in mostra di Isabella Angelantoni. In questo caso la ricerca dell’artista si discosta da quella condotta nell’opera precedente, incentrandosi sul “camminare” come atto che permette di conoscere il mondo. “L’opera raccoglie le tracce dei miei passi e dirige la traiettoria del mio sguardo. L’incedere dei passi sul terreno contribuisce alla nostra narrazione, immergendoci nel paesaggio familiare in cui l’equilibrio tra il fuggire e il restare determina i confini della nostra vita” dichiara Angelantoni.
Nel lavoro di Magda Antoniazzi Star map ref 41°n 93°w. Unknown Object #1, #2, #3 tre frammenti misteriosi e due mappe cosmiche raccontano di viaggi oltre il tempo.
Simone Brambilla con Aprire la porta, composta da un quadrato disegnato da maniglie, invita lo spettatore a varcare il confine per immedesimarsi nello spazio circoscritto. L’oggetto protagonista, ovvero la maniglia, è il primo punto di accesso o di uscita in una stanza; è un oggetto “alla mano”. Lo spazio che si crea è dunque delimitato dai quattro lati del quadrato e ognuno funge come punto di accesso per lo spazio al suo interno.
In Variazione Superficiale, di Simone Brambilla, la forma del marmo è rimasta fedele al blocco consegnato dal marmista, la sua forma non è cambiata dopo il taglio. La variazione, dunque, è visibile nella sua superficie, più precisamente nelle sue venature: a seguito di un doppio intarsio eseguito dall’artista sul blocco, due porzioni del parallelepipedo iniziale si sono scambiate permettendo così alle venature delle stesse di acquisire una direzione opposta rispetto al blocco.
I sogni che lascio sul cuscino la mattina è l’opera di Giulio Confetti. Il marmo bianco è un cuscino sul quale restano impressi i sogni, che come pozze d’acqua durante il giorno sbiadiscono e mutano. Un’immagine che sgorga nel sonno e svanisce nella veglia.
Nel lavoro di Cecilia Della Rossa Senza Titolo (il tempo mi scorre tra le dita) lo scorrere del tempo ha permesso la creazione dell’opera stessa. “Il tempo non si vede come ente fisico che posso toccare, ciò che testimonia la sua esistenza è il risultato della sua azione” spiega Cecilia. Il materiale impiegato, modellabile fino a quando non si indurisce, ha permesso la formazione delle increspature della mano a sinistra: la mano anziana, solcata e modellata dallo scorrere del tempo. Le due mani ricordano due foglie, una appena caduta e l’altra già secca e accartocciata.
L’opera Togliere il cielo di Andrea Fais riflette sui diversi stati che la materia può assumere. In questo caso il ferro è stato lucidato da un lato e ossidato dall’altro, così da ottenere due texture opposte. Quest’ultime nella loro vicinanza, raccontano un trascorso, il destino della materia e forse qualcosa della loro origine.
Tempi riflessi di Lorenzo Finotti analizza l’inesorabile mutamento degli eventi e le relazioni che in esso si creano e si distruggono. In questo lavoro assume un ruolo centrale il dialogo tra lo specchio e la macchina fotografica, simbolo di contraddizione temporale in quanto ferma un momento che non sarà più ripetibile e che ha solo un punto di vista fittizio, cioè quello del fotografo.
Il lavoro di Sara Laverde Sole passa tra le fronde, entra in stanza, propone una meditazione sulla semplicità dei riflessi di luce che passano naturalmente tra le fronde degli alberi, entrando silenziosamente nella nostra stanza. Si tratta di una semplice esperienza di intimità. La grafite si illumina al passare della luce. É un grado di lentezza direttamente proporzionale all’intensità della memoria.
La seconda opera di Sara Laverde, Senza Titolo (essere puntuali a un appuntamento cui si può solo mancare), propone una realizzazione multimediale mediante una scannerizzazione 3D della “mano”, che si muove attraverso la musicalità del linguaggio poetico, ovvero la penultima pagina del “Canto alla Durata” di Peter Handke.
L’opera di Thomas Losa Mentre torna terra ricorda d’essere arancia è caratterizzata da tre elementi: arancia, olio e terra. Tornando terra riemergono, tramite un processo fisico e metafisico, consapevolezza, viaggi e dialoghi. Da pochi elementi vengono ricavati più stadi, quindi maggior energia, materie solido-fossili e materie liquido-pulsanti. Il messaggio che si cela dietro l’opera è quello di con-vivere, rispettare ed esercitare un’umile ermeneutica con flora e fauna e abbassare questo presunto antropocentrismo sin troppo marcato.
L’opera Senza Titolo 2022 (legno e corteccia con segatura) di Rita Paola Lucchini è composta da un tronchetto di legno impiegato per ardere il fuoco. Questa parte di albero viene prelevata e manovrata tramite un intervento di scorticazione e ricomposizione della corteccia. Da questo processo scaturisce la polvere ramata conservata e presentata a fianco del corpo. Il tronchetto subisce una disgregazione corporale e tutti i momenti che compongono l’intervento si presentano all’osservatore, gesto per gesto.
Il secondo lavoro di Rita Paola Lucchini, intitolato Un Piano, si può considerare come formalizzazione materiale dell’assioma della geometria analitica euclidea per cui “per tre punti non allineati passa un solo piano”. Punto, linea e piano sono gli enti fondanti della nostra realtà, resi visibili tramite quest’opera. Ciò che possiamo osservare è il disvelamento di un elemento geometrico: il piano.
L’opera Senza Titolo di Jacopo Mantovani è costituita da un frammento di marmo portoro “con una traccia che lenta e inesorabile prova a connettersi”.
Il lavoro Orizzonte di Maria Simula è un mosaico composto da frammenti di foglie di tè, che diventano linea dell’orizzonte. La stessa varietà di tè è infusa e bevuta al momento, al fine di creare un tempo per la contemplazione.
Nell’opera Costretta di Maria Simula la foglia di rosa secca diventa corpo. È trafitta, impedita al movimento; l’unico modo che ha di liberarsi è sgretolarsi con un soffio di vento, abbandonandosi alla sua fragilità.
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